La nascita della categoria e le evoluzioni normative

Chi sono i periti industriali

Il primo riconoscimento giuridico della professione del perito industriale risale al 1929, con l’indicazione dei requisiti morali e scolastici per ottenere l’iscrizione all’albo. Si tratta del Regio Decreto n 11 febbraio 1929, n. 275 (in G.U.,18 marzo, n. 65) dove si ritrovano gli elementi eterogenei di un mondo economico nazionale in piena trasformazione che aveva necessità di professionisti qualificati nei settori più disparati. “Spettano ai periti industriali, per ciascuno nei limiti delle rispettive specialità di meccanico, elettricista, edile, tessile, chimico, minerario, navale ed altre analoghe, le funzioni esecutive per i lavori alle medesime inerenti”.

Così alla professione di Perito Industriale si riconosce la competenza alla progettazione, esecuzione e direzione nei limiti delle rispettive competenze e, in generale, le “mansioni direttive nel funzionamento industriale delle aziende pertinenti le specialità stesse”. Tuttavia, la necessità di provvedere alla istituzione di un tipo di professionismo flessibile e specializzato era stato già avvertito, tanto è vero che la Legge 24 giugno 1923, n. 1395 (in G.U.,17 luglio, n. 167), recante “Disposizioni per la tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti”, all’art. 7, comma 2, statuiva, per il tramite di apposito regolamento, l’istituzione e la formazione in ogni provincia di Albi speciali per i periti agrimensori (Geometri) e per le altre categorie di periti tecnici.

I Periti Industriali si sono formati negli Istituti Tecnici Industriali, conseguendo il diploma di maturità tecnica, dopo aver seguito un corso di studi secondario superiore della durata di cinque anni, composto, a sua volta, da un biennio di formazione generale ed un triennio di specializzazione, durante il quale il discente matura la formazione professionale adeguata all’indirizzo prescelto.

Gli indirizzi specializzati sono stati regolati nei contenuti con D.P.R. 30 settembre 1961, n. 1222 (“Sostituzione degli orari e dei programmi di insegnamento negli Istituti tecnici”), che, nella formulazione originaria, ne annoverava 32, ridotti, con accorpamenti successivi (D.M. 9 marzo 1994, D.M. 27 aprile 1995, n. 263), a 26 specializzazioni. Cosicché, dopo aver conseguito il diploma di maturità, l’accesso alla professione è subordinato al superamento di un esame di Stato, al quale si viene ammessi solo dopo avere svolto un periodo di praticantato. La Legge 2 febbraio 1990, n. 17 (in Gazz. Uff., 12 febbraio, n. 35), recante “Modifiche all’ordinamento dei periti industriali” e la pedissequa Delibera attuativa del Consiglio Nazionale dei Periti Industriali 24 maggio 1990, così modificata dalla delibera CNPI 2 febbraio 1996, n. 122/18, stabiliscono le modalità di svolgimento della pratica professionale che può essere svolta sia presso un professionista per la durata di un biennio, sia effettuata nelle forme equivalenti dell’attività tecnica subordinata relativa al diploma o di insegnamento per tre anni (lavoro subordinato).

La nuova formazione

Il sistema formativo scolastico lascia progressivamente il testimone al nuovo sistema di formazione per adeguarsi a quello comunitario. Così arriva il D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, recante “Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti di ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti”, che ha modificato le modalità di accesso all’esame di abilitazione per l’esercizio della libera professione di Perito Industriale. L’art. 55 D.P.R. n. 328/01 stabilisce che agli esami di Stato per la professione di Perito Industriale si accede con la laurea, tra quelle regolate al D.M. 4 agosto 2000 (“Lauree triennali”), comprensiva di un tirocinio di sei mesi, svolto in tutto o in parte durante il corso di studi tramite convenzioni stipulate tra gli Ordini e le Università. Dunque per poter accedere agli esami di Stato per l’abilitazione professionale di Perito Industriale è necessario conseguire la laurea in una delle seguenti classi:

Classe 4 (“Scienze dell’architettura e dell’ingegneria civile”), 7 (“Urbanistica e scienze della pianificazione territoriali ed ambientale”) e 8 (“Ingegneria civile e ambientale”) (SEZIONE EDILIZIA);

Classe 9 (“Ingegneria dell’informazione”) (SEZIONE ELETTRONICA E TELECOMUNICAZIONI);

Classe 10 (“Ingegneria industriale”) (SEZIONI: ELETTROTECNICA ED AUTOMAZIONE; COSTRUZIONI AERONAUTICHE; CRONOMETRIA; INDUSTRIA CARTARIA; INDUSTRIE CEREALICOLE; INDUSTRIA NAVALMECCANICA; INDUSTRIA OTTICA; MATERIE PLASTICHE, MECCANICA; METALLURGIA; TESSILE CON SPECIALIZZAZIONE PRODUZIONE DEI TESSILI; TESSILE CON SPECIALIZZAZIONE CONFEZIONE INDUSTRIALE; TERMOTECNICA;

Classe 16 (“Scienze della terra”) (SEZIONE INDUSTRIE MINERARIE);

Classe 20 (“Scienze e tecnologie agrarie, agroalimentari e forestali”) (SEZIONE TECNOLOGIE ALIMENTARI);

Classe 21 (“Scienze e tecnologie chimiche”) (SEZIONI: CHIMICA CONCIARIA; CHIMICO; CHIMICA NUCLEARE; INDUSTRIA TINTORIA);

Classe 23 (“Scienze e tecnologie delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda”) (SEZIONI: ARTI FOTOGRAFICHE; ARTI GRAFICHE);

Classe 25 (“Scienze e tecnologie fisiche”) (SEZIONI: ENERGIA NUCLEARE; FISICA INDUSTRIALE);

Classe 26 (“Scienze e tecnologie informatiche”) (SEZIONE INFORMATICA);

Classe 42 (“Disegno industriale”) (SEZIONE DISEGNO DI TESSUTI).

Nonostante il mutamento delle modalità di accesso alla libera professione, restano ferme le attività professionali riservate o consentite a ciascuna professione stabilite dalla normativa vigente (art. 1, comma 2, e art. 55, comma 1, D.P.R. n. 328/01). Così come restano invariate le competenze professionali riservate ai Periti Industriali, tra le altre, in materia impiantistica, edilizia, infortunistica stradale (con competenza esclusiva nella ricostruzione dinamica dei sinistri).

L’adeguamento alle direttive europee

Il lento adeguamento del sistema formativo italiano con quello europeo ha provocato numerosi ritardi, il più grave dei quali è il riconoscimento della professione in regime di reciprocità con gli altri Paesi europei.

Tuttavia, la direttiva 89/48/CEE, che stabilisce un “sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono formazioni professionali di una durata minima di tre anni” e la Direttiva 92/51/CEE del Consiglio, relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale, che integra la Direttiva 89/48/CEE del Consiglio, riguarda un iniziale sistema generale di riconoscimento per i diplomi conseguiti a seguito di periodi di formazione della durata minima di 3 anni. L’Italia ha progressivamente recepito le Direttive comunitarie in materia di riconoscimento dei titoli di studio e dei percorsi formativi. In ultimo, la direttiva 2001/19/CE (che integra la direttiva 92/51/CE) è stata recepita in Italia con D. Lgs. 8 luglio 2003, n. 277 (pubbl. in G. U. n. 239 del 14 ottobre 2003 – S.O. n. 161), la quale rappresenta il passaporto del Perito Industriale per l’esercizio della relativa professione “regolamentata” all’interno dell’Unione Europea. Infatti, l’art. 1 D. Lgs. n. 277/03, definisce “formazione regolamentata” “qualsiasi formazione direttamente orientata all’esercizio di una determinata professione e consistente in un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale in un’università o in un altro istituto di livello di formazione equivalente e, se del caso, nella formazione professionale nel tirocinio o nella pratica professionale richiesti oltre il ciclo di studi post-secondari: la struttura e il livello professionale, del tirocinio o della pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro interessato o soggetti al controllo o all’autorizzazione dell’autorità designata a tal fine”. L’Allegato I del decreto, di cui al punto 1 dell’art. 1, annovera tra le professioni regolamentate quella del Perito Industriale.

I periti industriali nel quadro europeo delle qualifiche

In questo quadro quindi, la categoria professionale dei Periti Industriali si colloca tra le professioni con livello di qualificazione descritto all’art. 11, lett. d) della “Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 (pubblicato in G.U.C.E. il 30 settembre 2005, L 255/22), relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”, la quale nel Titolo III – Libertà di stabilimento “Regime generale di riconoscimento di titoli di formazione”, nella rubrica “Livelli di qualifica”, raggruppa nel livello d) i soggetti che hanno conseguito “un diploma che attesta il compimento di una formazione a livello di insegnamento post-secondario di una durata minima di tre e non superiore a quattro anni o di una durata equivalente a tempo parziale, impartita presso un’università o un istituto d’insegnamento superiore o un altro istituto che impartisce una formazione di livello equivalente, nonché la formazione professionale eventualmente richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari” (art. 11, comma 1, lett. d) Direttiva 2005/36/CE).

Il futuro

L’evoluzione del sistema formativo secondario superiore (la riforma Gelmini), il quadro Europeo, costringono i Periti Industriali a ripensare al suo modello formativo: nel 2016 viene quindi approvata la Legge 89 -fortemente voluta dalla categoria- che obbliga al possesso di una laurea almeno triennale per l’iscrizione all’albo. Non solo, perchè la categoria è in prima linea per la nascita e poi la definizione delle Lauree professionalizzanti nel 2020, resi direttamente abilitanti per alcune professioni tra cui il Perito Industriale dalla Legge 163/21.