L’adeguamento alle direttive europee

16 Gen,2018 | AREA ISTITUZIONALE

Il lento ed affannoso adeguamento del sistema formativo scolastico professionalizzante italiano a quello europeo ha provocato numerosi ritardi, il più grave dei quali, il problema del riconoscimento della professione in regime di reciprocità con gli altri Paesi europei.

Tuttavia, la direttiva 89/48/CEE, che stabilisce un “sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono formazioni professionali di una durata minima di tre anni” e la Direttiva 92/51/CEE del Consiglio, relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale, che integra la Direttiva 89/48/CEE del Consiglio, riguardante un iniziale sistema generale di riconoscimento per i diplomi conseguiti a seguito di periodi di formazione della durata minima di 3 anni. Sono ancora strumenti normativi di riferimento per il professionista che voglia svolgere la propria attività professionale all’interno dell’UE.

Le Direttive introducono il principio del riconoscimento reciproco delle condizioni di accesso alle quali gli Stati membri subordinano l’esercizio delle professioni. Il sistema si basa sul principio della fiducia reciproca nelle rispettive formazioni professionali di Stati che hanno un livello equivalente di sviluppo economico, sociale e culturale. Pertanto, un Paese membro ospitante non può rifiutare l’accesso o l’esercizio ad una professione al cittadino di un altro Stato membro, se il richiedente possiede il diploma che nello Stato d’origine è richiesto per accedere o esercitare una professione.

“L’accesso a una professione o l’esercizio della medesima deve considerarsi direttamente disciplinato da norme giuridiche qualora disposizioni di legge, di regolamento o amministrative dello Stato membro ospitante istituiscano un regime che produce l’effetto di riservare espressamente tale attività professionale alle persone che soddisfano a talune condizioni e di vietare l’accesso a quelle che non vi soddisfino (v. sentenza Aranitis,)” (Sentenza della Corte di Giustizia 8 Luglio 1999 – Causa C-234/97).

Così, l’Italia ha progressivamente recepito le Direttive comunitarie in materia di riconoscimento dei titoli di studio e dei percorsi formativi. In ultimo, la direttiva 2001/19/CE (che integra la direttiva 92/51/CE) è stata recepita in Italia con D. Lgs. 8 luglio 2003, n. 277 (pubbl. in G. U. n. 239 del 14 ottobre 2003 – S.O. n. 161), la quale rappresenta il passaporto del Perito Industriale per l’esercizio della relativa professione “regolamentata” all’interno dell’Unione Europea. Infatti, l’art. 1 D. Lgs. n. 277/03, definisce “formazione regolamentata” “qualsiasi formazione direttamente orientata all’esercizio di una determinata professione e consistente in un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale in un’università o in un altro istituto di livello di formazione equivalente e, se del caso, nella formazione professionale nel tirocinio o nella pratica professionale richiesti oltre il ciclo di studi post-secondari: la struttura e il livello professionale, del tirocinio o della pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro interessato o soggetti al controllo o all’autorizzazione dell’autorità designata a tal fine”. L’Allegato I del decreto, di cui al punto 1 dell’art. 1, annovera tra le professioni regolamentate quella del Perito Industriale.